Il tutto il mondo per controllare il proprio peso si spendono ogni anno circa 200 miliardi di dollari. Un mercato ricchissimo che si rivolge alla produzione di prodotti dietetici, strategie, programmi per guadagnare sfruttando il bisogno reale o immaginario di dimagrire. Un mondo senza regole e aperto a truffe, frodi e mistificazioni
di MARINA CAVALLIERI e LUCIANA GROSSO
ROMA – Ci sono quelle che promettono di far perdere 3 chili in tre giorni, altre garantiscono 10 chili in un mese, alcune fanno venire la pancia piatta anche solo per il week end. Sono le diete, ne esistono migliaia, spesso hanno nomi stravaganti: dieta del miracolo, della forchetta, del guerriero, dei colori, del XXI secolo, delle 3 ore, del Ph, alcune hanno il nome del loro inventore, come Dukan o Messegué, ma c’è anche chi si chiama semplicemente “Oh my god”. Tutte forniscono un elenco infinito di consigli, ricette, tabelle, classifiche, calcolo delle calorie, è un magma indistinto di prescrizioni che affolla internet e i giornali femminili, è una palude di prodotti, pillole, sali, creme, barrette, impilati sui banchi delle farmacie.
Uguali e diverse. Tutte uguali e tutte diverse, ma messe insieme in questo momento rappresentano uno dei mercati più fiorenti: quello del non mangiare. O meglio, del non ingrassare. L’ossessione delle diete, dei fianchi stretti e della pancia piatta ha, negli ultimi decenni, travalicato i confini delle reali esigenze sanitarie o delle più o meno giustificate angosce estetiche per trasformarsi in un business capace di muovere miliardi.
Industry. La chiamano diet industry, questo è il termine usato per descrivere “il ricchissimo mercato per la produzione di prodotti, strumenti, strategie, programmi e qualsiasi altro mezzo impiegato per la perdita di peso indipendentemente dal rapporto costo/beneficio per il consumatore”. L’obiettivo della diet industry è guadagnare sfruttando il bisogno reale o immaginario delle persone che devono perdere peso. È un mercato senza regole aperto a truffe, frodi, mistificazioni. È un business spietato che punta alla creazione di bisogni. È una fabbrica di illusioni.
Una pioggia di denaro. Del resto la posta in gioco è alta: si calcola che negli Stati Uniti le entrate annuali per la promozione delle diete e dei prodotti dietetici nel 2012 è stata di circa 60 miliardi di dollari. In tutto il mondo il mercato delle diete è valutato intorno ai 200 miliardi e si stima che raggiungerà i 216 miliardi entro i prossimi 2 anni. Il dato, diffuso dall’azienda americana di ricerche di mercato Transparency Market Research, segna una crescita annua dell’11% rispetto alla rilevazione del 2011.
L’Asia si metterà a dieta. “Se gli USA sono leader”, scrivono i relatori del report “l’Europa segue a ruota. Il mercato più promettente però appare quello asiatico: lì le persone stanno virando decisamente verso uno stile di vita occidentalizzato che presto genererà le stesse esigenze di tipo estetico e sanitario. Tutto questo rivela un enorme potenziale di sviluppo per le aziende attive nel settore della perdita di peso”. Un mercato in espansione che non conosce crisi perché affonda le sue radici in condizioni difficili da aggirare: lo stile di vita occidentale che induce e costringe alla sedentarietà, e l’industria alimentare che ha modificato la stagionalità e la qualità degli alimenti e propone cibi a basso costo, ipercalorici, reperibili ovunque, in qualsiasi momento, che favoriscono l’assunzione di calorie in eccesso. Ingrassare e poi dimagrire: è l’invisibile schiavitù del cibo che arricchisce le multinazionali, il falso movimento dentro il quale si muovono milioni di persone.
Il cibo che ti coccola. Per il Trasparency Market Research anche la crisi economica degli ultimi anni sta favorendo l’industria delle diete: durante la recessione, un numero crescente di persone si è rivolto a cibi di poco prezzo e scarsa qualità, oppure, ai fast food e sono cresciute le vendite dei comfort food (il cosiddetto cibo del buon umore, tipicamente dolce, che gratifica e coccola), “in questo modo hanno accumulato peso in quantità superiore rispetto ai precedenti periodi e si presume che, per perderlo, impiegheranno più tempo che in passato”. La diet industry per proliferare infatti ha bisogno di un popolo devoto di consumatori, la cui instabilità e fragilità invece di essere un limite è un punto di forza perché ogni fallimento porta ad un altro tentativo. Si smette e si ricomincia. Così di dieta in dieta. Secondo il Censis, che la scorsa estate ha elaborato un’indagine insieme a Coldiretti, sarebbero più di 16 milioni gli italiani a dieta e poco meno della metà di loro (7,7 milioni) dichiara di esserlo in pianta stabile.
Cinque milioni di obesi. Il mercato delle diete non riguarda solo gli obesi (che in Italia sono ormai più di cinque milioni con un costo sanitario di circa 8 miliardi di euro) i cui problemi di peso e salute richiedono cure specifiche, ma soprattutto i sovrappeso, quelli che non si piacciono e che, dalla primavera in poi, temono la ‘prova costume’, in guerra costante con pancetta e fianchi. Insomma quelli che, anche se non sono grassi, vorrebbero dimagrire almeno un po’, e si rivolgono alle diete fai-da-te, ai servizi di tutoraggio online e ai prodotti che promettono un rapido dimagrimento.
I trucchi per convincere. Nei confronti di questo esercito di potenziali clienti (chi non lo è stato almeno per una volta?), il mercato delle diete usa diverse strategie commerciali e di comunicazione, le tecniche che utilizza sono così strutturate da aver creato una sorta di assuefazione, un’abitudine al messaggio che non è più percepito come “pubblicitario” ma è diventato ormai per tutti “vero”. Il ministero della Salute in un recente rapporto sui disturbi dell’alimentazione ha provato ad elencare le tecniche di persuasione della diet industry: garantire una perdita di peso facile, senza sforzi e permanente; utilizzare termini come miracoloso, esclusivo, segreto, unico, recente, scoperta; fare costante riferimento alla cellulite; esibire fotografie relative al prima e al dopo; usare la testimonianza di clienti soddisfatti che sono stati spesso pagati; mostrare studi senza referenze di riviste scientifiche accreditate; indurre a considerare il fallimento della dieta un segno di scarsa volontà e di mancanza di valore morale.
Dieting, uno stile di vita. Tutto questo porta milioni di persone al dieting, lo stare a dieta come stile di vita. Ma è un modo di vivere a rischio. Tutti gli studi recenti suggeriscono infatti un nesso tra lo stare frequentemente a dieta e la comparsa di un disturbo dell’alimentazione. Smangiucchiare tutto il giorno, vomitare dopo i pasti, mangiare di notte, oppure passare da grandi abbuffate a diete severe per poi ricominciare da capo, mangiare solo un determinato tipo di alimenti, scartandone ossessivamente altri, questi sono alcuni dei comportamenti che si diffondono in modo più o meno strisciante e silenzioso.
Disturbi estremi. Ma si diffondono anche i disturbi estremi: anoressia e bulimia. È il lato oscuro del benessere, lo specchio deformante, il precipizio. I disturbi dell’alimentazione sono in aumento e sono ormai uno dei problemi più comuni di salute tra i giovani dei Paesi occidentali, soprattutto tra le ragazze. Il 2% delle donne dai 18 ai 24 anni soffre di anoressia, il 4,5% di bulimia e il 6,2% di vari disturbi alimentari. Crescono anche i casi precoci della malattia con ragazzine sempre più piccole assillate dalla linea, spesso sono figlie di mamme a dieta ma appare anche, sempre più chiaro, un legame tra abbassamento dell’età e l’esposizione a pressioni per essere sempre più magri, soprattutto attraverso internet. Scrivono gli esperti che hanno collaborato al rapporto del ministero della Salute: “Molti studi hanno trovato che la maggior parte degli individui con disturbi dell’alimentazione riferisce di aver iniziato una dieta prima di acquisire un comportamento alimentare disturbato. (…) L’industria della dieta è fortemente implicata indirettamente nel favorire lo sviluppo dei disturbi dell’alimentazione perché enfatizza, attraverso slogan pubblicitari, l’idea che le persone che hanno un peso in eccesso sono poco attraenti, deboli, pigre, golose e malate e solo con la perdita di peso potranno essere felici e risolvere i loro problemi”.
FONTE:http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2013/12/13